Sofia Manzetti: quello che ti insegnano i pony

Sofia Manzetti ci racconta il suo periodo pony: in particolare di Rock Dee Jay, castrone Irlandese baio del 2002, che è stato il suo maestro

Sofia Manzetti e Rock Dee Jay, foto archivio Manzetti
Reggio Emilia, 12 maggio 2021 – Doveva essere con noi durante il Cavallo Magazine Live dedicato ai pony, ma i problemi di connessione hanno reso l’impresa quasi disperata.

Quasi: perché Sofia Manzetti – di lei stiamo parlando – tra le cose che ha imparato grazie ai pony mette al primo posto la capacità di non mollare mai e così, alla fine, almeno la sua voce è arrivata.

Vent’anni compiuti da poco, amazzone di salto ostacoli a livello agonistico da quando ha 10 anni, Sofia è romana di origine ma oggi vive a Reggio Emilia, dove monta presso la scuderia di Arnaldo Bologni.

Per premiare la sua tenacia (con calma olimpica e gentilezza ha provato sino alla fine a risolvere il problema tecnico), le facciamo qui le domande che avremmo voluto porle durante il live.

Sofia, chi è il pony del tuo cuore e perché?

“Sicuramente Rock Dee Jay: un pony Irlandese del 2002.  Il primo anno con lui, il 2015, fu molto impegnativo perché non riuscivamo a capirci. Non riuscivo a interpretarlo, però iniziando a lavorarci con il mio tecnico, Gianluca Bormioli, e mettendoci tanto impegno  alla fine siamo riusciti a trovare la quadra e abbiamo iniziato a intenderci un po’ di più. E’ stato nel 2016 che si sono visti i frutti del nostro duro lavoro: 2016 abbiamo fatto oro alla coppa di Wierden, argento alla coppa di Hagen e oro ai campionati d’Europa in Danimarca a squadre (dove ho fatto anche 5º individuale nella classifica finale). E poi tanti altri bellissimi risultati, compreso l’oro ai campionati italiani nel 2017 di Arezzo. Lui lo considero il pony del mio cuore perché è stato un maestro, mi ha insegnato che il duro lavoro paga”.

Quale era la difficoltà iniziale con lui?

“Il fatto che fosse sì un pony, ma funzionava più come un cavallo: aveva un motore lento, dovevo riscaldarlo sempre per avere buon ritmo. Ma i  primi tempi non lo conoscevo, io stavo un po’ indietro, un po’ timidina mentre lui vuole essere spinto”.

Cosa ti hanno insegnato i pony?

“In primis che, anche se qualche gara va male, non è la fine del mondo: bisogna semplicemente lavorare sodo, avere obiettivi chiari e lavorare al massimo. Ho dei bellissimi ricordi del periodo pony, a parte le coppe delle nazioni che ci permettevano di viaggiare molto, tutti insieme, questo con loro  è stato uno dei gradini della mia carriera professionale da amazzone. Loro ti  preparano al mondo dei più grandi, le altezze dei percorsi a un certo punto sono davvero importanti e quando passi ai cavalli sei già abbastanza preparato”.

Da poco hai fatto il passaggio dai pony ai cavalli; quali ritieni siano le sensazioni e gli insegnamenti più utili che hai trasferito nella tua attività con i cavalli?

“Già affrontando quei giri di coppe ti rendi conto che il tempo è corto, quindi si deve cercare di non allargare. E i pony ti danno quella velocità, quella scaltrezza che poi diventa fondamentale: le gare si vincono galoppando. Poi ho trovato molto bello che la Fei abbia inserito gare pony nella Coppa del Mondo, con i cavalli:  così i ponisti hanno la possibilità di vedere campioni ai massimi livelli e quindi imparano. Perché bisogna rubare con l’occhio quello che fanno i campioni”.

Chi ha la passione vera lo fa: e Sofia, ne siamo sicuri, è tra questi.