EHV: vaccinazione e biosicurezza le risposte vincenti

Un virus con tante facce, conosciuto e temuto da tempo. Come arginarne gli effetti più gravi e contenerne la diffusione

Bologna, 20 maggio 2023 – Quando pensiamo alla salute dei nostri cavalli raramente ci soffermiamo sulle malattie infettive e sull’impatto che queste hanno sul benessere animale, relegandole a un ruolo marginale. Questo perché, a differenza di altri settori e di altre specie animali, non siamo abituati a epidemie importanti e alle conseguenze in termini economici e gestionali che queste comportano.

In questo contesto, l’Equine Herpesvirus (EHV) rappresenta un agente causale di malattia molto importante nel cavallo, con un impatto considerevole in tutti i settori.

Sebbene sia stato il focolaio di Valencia (all’interno dello Spring Tour) del febbraio 2021 a suscitare improvvisamente tanto interesse e preoccupazione, è importante comprendere che l’EHV è un virus conosciuto da sempre, presente in tutto il mondo e largamente diffuso nella popolazione equina, tanto da essere considerato ormai endemico (cioè costantemente presente nel territorio all’interno della popolazione).

Normalmente i cavalli si infettano nei primi anni di vita, a volte già durante lo svezzamento che, come possiamo immaginare, è un momento particolarmente stressante per il puledro.

Questo virus è responsabile di diverse forme cliniche nel cavallo, tra cui la più nota e frequente è la rinotracheite infettiva, caratterizzata da febbre e sintomi respiratori come scolo nasale e tosse. Come è facile intuire, quindi, la trasmissione avviene direttamente per via aerea, fino a diversi metri di distanza, o indirettamente tramite oggetti o personale contaminati.

Oltre alla forma respiratoria, l’EHV è responsabile di aborti (generalmente negli ultimi mesi di gravidanza) e, sebbene più raramente, di forme neurologiche dovute a una mieloencefalite.

Sappiamo che il virus responsabile del focolaio di Valencia 2021 è stato particolarmente aggressivo e ha dato un’alta percentuale di forme neurologiche. Ma questo da cosa è dipeso? Dal ceppo del virus o dalla risposta individuale del cavallo? Possiamo dire che entrambe le risposte siano corrette.

Come per gli herpesvirus di tutti i mammiferi (uomo compreso) se ne riconoscono diversi tipi, tra cui i principali nel cavallo sono EHV-1 e EHV-4. In particolar modo è proprio un ceppo mutato di EHV-1 a causare la maggior parte delle forme neurologiche.

D’altra parte sembrerebbe esserci una predisposizione individuale dell’ospite (cavallo) a favorire lo sviluppo della forma neurologica.

A rendere ancora più subdolo questo virus, e impossibile da eradicare, è una sua particolare strategia (l’infezione latente), che lo rende invisibile al sistema immunitario e che gli permette di rimanere all’interno dell’ospite anche per tutta la vita, “nascondendosi” all’interno di determinate cellule, riattivandosi periodicamente con o senza sintomi, ma sempre con la capacità di infettare nuovi soggetti.

È quello che succede nell’uomo con l’herpes labiale, che si ripresenta sempre nei periodi più stressanti!

Cosa possiamo fare quindi per contrastare questo virus e ridurre al minimo il rischio di nuovi focolai?

Dobbiamo lavorare su due fronti, entrambi di fondamentale importanza! La vaccinazione e la biosicurezza, capisaldi del concetto di prevenzione.

I vaccini contro EHV, tuttavia, non prevengono l’infezione, ma riducono i sintomi clinici e, soprattutto, l’eliminazione del virus attraverso la respirazione, limitando la circolazione virale all’interno della popolazione.

Per arrivare a questo importante risultato non è sufficiente vaccinare pochi soggetti, ma è fondamentale estendere la vaccinazione a tutta la popolazione (in questo caso l’allevamento o la scuderia)!

Accanto agli evidenti vantaggi, dobbiamo però essere consapevoli di due cose. La prima è che la copertura vaccinale è breve e il richiamo per essere efficace deve essere effettuato ogni 6 mesi. La seconda è che il vaccino non protegge dalla forma neurologica ma, limitando la circolazione virale, riduce la possibilità che il cavallo contragga l’infezione.

Parliamo infine della biosicurezza che, come da definizione, comprende tutte quelle misure in grado di impedire l’ingresso di una nuova malattia in una popolazione o di limitarne la diffusione, quando presente.

Ad oggi diventa sempre più importante fornire la corretta informazione e formare sull’importanza della biosicurezza in scuderia, sebbene non sia semplice applicare alcune misure nella normale gestione di questa. Si pensi ad esempio alla pratica di sottoporre i nuovi soggetti a un periodo di quarantena prima di essere scuderizzati insieme agli altri cavalli, oppure alla buona norma di isolare i soggetti con la febbre.

L’esperienza di Valencia del 2021 deve farci riflettere, poichè in quell’occasione sono stati commessi diversi errori di gestione della biosicurezza che hanno portato alla diffusione del virus in vari paesi europei, con conseguenze gravi sia dal punto di vista del singolo animale (se consideriamo il tasso di mortalità) sia da un punto di vista  generale, dato il forte impatto economico che ne è derivato (se consideriamo il blocco delle movimentazioni e la sospensione di tutte le gare FEI  e FISE per diverse settimane).

Prevenire e ridurre al minimo il rischio di trasmissione di malattie infettive è uno sforzo collettivo che tutti dobbiamo abbracciare. Ad oggi, grazie anche all’esperienza di Valencia, disponiamo di sistemi molto efficienti per gestire le epidemie con protocolli chiari e approfonditi, soprattutto nell’ambito di eventi sportivi internazionali.

Ognuno di noi, che sia cavaliere, groom o medico veterinario, deve fare la sua parte nel modo più responsabile possibile.